Il comune di Bronte, "Città del Pistacchio", è tra i più estesi della provincia di Catania. Vuole il mito che il ciclope Bronte, figlio di Nettuno, sia stato il fondatore ed il re della città omonima, ma furono i Siculi i primi abitatori della zona, intorno all'VIII secolo a. C., come è testimoniato dalla presenza di cellette funebri a forma di forni rinvenute in territorio brontese. L'abitato, posto sopra un pendio lavico della zona nord-ovest dell'Etna, domina la valle del Simeto. Da qualunque parte si volga lo sguardo si offrono all'osservatore le immagini della lussureggiante e variegata campagna siciliana. Anche dove successive eruzioni hanno ricoperto il territorio di dura roccia lavica, i contadini brontesi, sfruttando gli insegnamenti degli antichi dominatori arabi, sono riusciti ad impiantare alberi di pistacchio, che proprio sulla roccia lavica crescono rigogliosi, producendo la migliore qualità di pistacchio presente sui mercati mondiali. Furono appunto gli Arabi, strappando la Sicilia ai Bizantini, a promuovere e a diffondere la cultura del Pistacchio nell'isola e, a conferma di ciò, basta considerare l'affinità etimologica del nome dialettale dato al pistacchio col corrispondente termine arabo. "Frastuca" il frutto e "Frastucara" la pianta derivano infatti dai termini arabi "fristach", "frastuch" e "festuch" derivati a loro volta dalla voce persiana "fistich". Di colore verde smeraldo e profumo intenso è molto usato nella pasticceria per la preparazione di dolci come croccanti, fillette (specie di savoiardi), torroni e torroncini, paste e torte.
Sono tanti, inoltre, i monumenti che abbelliscono la cittadina dal punto di vista storico ed architettonico, ma su tutti il Castello Nelson e il Real Collegio Capizzi, oggi sede della biblioteca borbonica con l’archivio di storia patria. Un patrimonio impreziosito delle opere letterarie originarie dell’illustre Spedalieri e di atlanti geografici di rara bellezza per fattura artistica e conoscenze fisico-politiche del 600 e del 700 e che ospita la più importantePinacoteca della Sicilia, esponendo una preziosa raccolta del maestro brontese, "Nunzio Sciavarrello”.
Il Castello di Nelson o cosiddetto "Castello di Maniace" si trovava a cavallo della grande trazzera regia che per tutto ilmedioevo fu l'arteria più importante di penetrazione nell'interno dell'Isola, percorsa da Re e Imperatori, da eserciti e torme di invasori. Per essa infatti penetrarono nel Valdemone gli Arabi; su di essa si svolsero le prime battaglie dei conquistatori Normanni; per essa si avventurava, dopo aver fatto testamento, il viaggiatore che voleva raggiungere Palermo. Oggi è un luogo turistico e di cultura di alto interesse e di prestigio.
Festa dei patroni San Biagio il 3 febbraio e Maria SS. Annunziata il 9 agosto
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Mentre Bronte era ancora al principio della sua fondazione, una tempesta inaudita fece naufragare in sulla costa occidentale della Sicilia una nave che veniva dalla Grecia diretta per non si sa dove. Tutto perì, uomini e cose; ma, superstite al comune naufragio, pochi giorni dopo, si vide galleggiare vicino alla riva una grande cassa, che conteneva un peso enorme e che mostrava nondimeno d'avere la leggerezza di una piuma. Ripescata, quella cassa fu aperta; e, con sorpresa e confusione generale, fu rinvenuta lì dentro l'immagine della Vergine Madre di Nostro Signore e quella dell'Angelo Annunziatore.Tutti caddero in ginocchio, umiliati e tremanti dinanzi allo spettacolo di tanta bellezza celeste. I primi occupanti se ne impadronirono e contavano di possedere un tesoro inestimabile. In quella stagione alcuni mercanti, in giro pel commercio dell'albaggio, capitarono in quella costa fortunata dell'isola. Ebbero sentore delle due statue ed aprirono l'animo alla speranza d'un negozio vantaggioso.Le loro speranze, infatti, non andarono fallite ed il negozio fu conchiuso: barattarono le due statue con tutto l'albaggio che quell'anno portavano appresso.L'avrebbero poscia rivendute a caro prezzo in Catania, in Messina o in Palermo. Si sarebbero fatti ricchissimi. Erano pazzi di gioja. Ma non tardò molto che si pentirono amaramente del negozio fatto. Situate le due statue sopra un carro resistente improvvisato, non c'era forza umana che potesse trasportarle. I buoi più gagliardi vi restavano oppressi, schiacciati. Era una disperazione grande. Avrebbero voluto rifare il baratto e maledivano l'occasione che li aveva distolti dal loro traffico solito. Dinanzi a quelle imagini di paradiso non lasciavano nemmeno di far sentire imprecazioni e bestemmie perfide.
E la Vergine e l'Angelo che sorridevano sempre di questo imbarazzo dei mercanti, delle loro imprecazioni e delle loro bestemmie, con un sorriso tutto candore, tutto bontà.Piangendo e delirando notte e giorno, quelli s'erano decisi finalmente di abbandonar tutto e di tornare in patria poveri e derelitti. Era stata una vera sciagura. Avrebbero detto che erano stati derubati da' briganti.
Veramente, partirono imprecando e bestemmiando più a lungo. Giunti una mattina, in sulla prima alba, in una selva foltissima, videro sbucare di tra le macchie impenetrabili un'infinità di buoi selvaggi, che avrebbero potuto portare addosso lo stesso Mongibello. Mentre gli altri fuggirono dileguando come baleno nella boscaglia, due di essi, pieni di mansuetudine nuova, restarono a guardare con benevolenza i mercanti desolati, in atteggiamento di dir loro, che erano pronti a mettersi a loro disposizione. A' mercanti tornò improvvisamente nell'animo la speranza perduta. Guidati da una inspirazione sovrumana, si avvicinarono a quella coppia di buoi selvaggi; con letizia somma poterono legarli con un pezzo di corda al collo e tornarono indietro, là donde erano partiti.
La Vergine e l'Angelo in sul carro, che si disegnavano con purezza ineffabile in quello sfondo azzurro e lucente di cielo e di mare, sorridevano sempre col loro sorriso tutto candore, tutto bontà! I buoi, giunti colà, come ci avessero avuto il giudizio, fecero riverenza alla Vergine ed all'Angelo compagno, inginocchiandosi.
Poi si lasciarono legare al carro umilmente e si misero in cammino, tirandolo come niente fosse.Non c'erano strade, non c'erano sentieri; e pure, il carro procedeva liberamente.Durante quel passaggio, le selve diradavano gli alberi, i precipizii scomparivano e gli abissi si colmavano!
I mercanti, pentiti profondamente per avere osato di dubitare un istante, dinanzi a tanto prodigio parlante, andavano versando lacrime caldissime. La Vergine, così, giunse presto in Bronte, fermandosi nella parte estrema del paese che allora cominciava a sorgere, di fronte a Mongibello, che s'innalzava gigante e minaccioso lassù, in fondo.
I mercanti volevano che proseguisse tuttavia il viaggio per giungere almeno a Catania, dove l'avrebbero rivenduta a caro prezzo; ma i loro sforzi furono inutili. Ella volle rimanere quivi; ed Ella stessa fece fare un giretto a' buoi per segnare i confini della chiesa che avrebbe voluto edificata. Tutto il paese si prosternò a' piedi della Vergine, che gli si offriva per protettrice; colmò d'oro i mercanti perchè gliela lasciassero, e le fondò in quel punto la bella chiesa dell'Annunziata, che guarda di fronte l'Etna.
Sin da quel tempo Bronte non teme più i furori di Mongibello; perchè Maria Vergine, dal suo stesso altare benedetto, non perde un momento di vista il terribile mostro.
Tratto dal sito http://www.bronteinsieme.it/7tr/tradizioni_5.htm
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